Ricordo ancora mio padre quando si accorse del mio anello di fidanzamento comprato con Francesco sulla tiburtina e scambiato in gran segreto, tipo Renzo e Lucia, in Porziuncola con frate Massimo. Eravamo a tavola quando mio padre, stroncato alla vista di quell’anello, cominciò un vero discorso da padre a figlia. Cercando di capire cosa significasse quell’anello, esordí su quanto é importante la famiglia, quanto i valori che lui e mia madre mi avevano trasmesso erano davvero le fondamenta della vita e com’era lodevole che io e Francesco facessimo sul serio, MA…:
- Alessandra devi capire che la famiglia é la cosa più importante. La famiglia é al primo posto, MA non si può improvvisare: prima ti devi laureare, poi bisogna trovare un buon lavoro, magari fisso, non dimenticando di risparmiare per comprare una bella casa e poi ci si sposa. - Scusa papá, ma allora la famiglia non é al primo posto?! é all’ultimo, quando hai fatto proprio tutto. E poi per sposarsi non ti chiedono mica la laurea, al massimo ci vuole la cresima! - … (qui metterei una foto di mio padre stecchito come da un fulmine).
Dopo qualche minuto, servito per attutire la botta, mio padre guarda commosso mia madre negli occhi e le dice: “L’abbiamo persa” volendo dire con queste parole che gli era parso chiaro che da lí a poco sarei uscita per sempre da casa, ovvero mi sarei sposata. La veritá però é un’altra. La verità é che io e Francesco avevamo già deciso di sposarci. Avevamo già fissato la data e fermato la chiesa. Ci eravamo già promessi, accompagnati da una breve benedizione di fra Massimo, una sera dopo i vespri, dopo che tutti erano andati via dalla basilica, sull’altare della Porziuncola con un mazzo di rose rosse profumatissime e solo qualche candela accesa. Ci siamo abbracciati e detti tutte le cose che desideravano fare insieme come sposi. Non volevamo dirlo a nessuno perché ci sembrava troppo prezioso e soprattutto, prevedevamo le reazioni e lo scandalo che avremmo generato. Parlo di scandalo perché sposarsi a 19 anni (ne avrei fatti 20 un mese dopo il matrimonio!) senza laurea, senza un lavoro fisso (soprattutto poi se l’unico lavoro in questione é il ricercatore all’università!), senza una casa, e soprattutto … senza essere incinta.
Ma che fretta c’era? Perché a 20 anni? Perché non aspettare che tutto sia perfetto? Perché essere così precipitosi?
La fretta é quella di Giovanni e Pietro che corrono insieme al sepolcro per vedere che Gesù é risuscitato (Gv20,4). La fretta della gioia esplosiva, dell’amore che non può aspettare, l’amore impaziente, l’amore che chiede tutto te stesso. L’amore non ti chiede se sei in regola con gli esami, né sei hai certezze economiche. Non penso che un matrimonio con un lavoro a tempo indeterminato (magari a trovarlo!) sia un matrimonio migliore. Non penso nemmeno che un matrimonio fra due laureati valga di più. Però penso che un matrimonio a tre é sicuramente migliore perché oltre agli sposi c’é un terzo: il Signore. Ecco, penso che un matrimonio da Dio sia sicuramente più bello e più divertente perché non sei solo, hai Qualcuno che vuole sporcarsi le mani con te nelle difficoltà, Qualcuno che ti sostiene quando fai casini e che é Padre.
Io ho sempre pregato perché Dio mi desse la grazia di spendere la mia giovinezza per la mia vocazione. Quello che sentivo come urgente era non perdere tempo con tutto quello che é un orpello, ma fare centro il prima possibile. Per me il centro é Dio e la mia vocazione é il modo in cui servirlo, il luogo dove posso spendermi, dove posso incontrarlo. Perché anteporre qualcosa alla gioia, perché aspettare? L’amore chiama. L’amore é urgente.
Dopo quasi otto anni di matrimonio non abbiamo ancora una casa, né un lavoro fisso, né io mi sono laureata (a luglio gli ultimi esami!). Di certezze però ne abbiamo sempre di più: il disordine sempre accompagnato da una lavatrice da stendere, la presenza accanto a me di mio marito, il nostro sí quotidiano nella gioia e nelle litigate, i nostri bellissimi figli con la loro monellaggine cronica, la provvidenza. Abbiamo cambiato quattro volte nazione e lingua, traslocato mille volte, ma non dimentichiamo la nostra meta, né ci ha abbandonato quella fretta.
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