La marcia è alle porte! Oggi ripercorriamo quei giorni così fondamentali per le nostre vite … scriviamo a quattro mani per provare a mettere insieme quei due mondi così diversi e lontani di allora e ora così uniti.
Fra — Ho un ricordo nitido, chiaro, della sera prima dell’inizio. Eravamo accanto ad un muro diroccato, immersi nella natura, mentre contemplavamo un magnifico tramonto di fine luglio. Allora il frate ci disse: “non sprecate questa occasione, camminate per qualcosa, marciate verso Assisi chiedendo qualcosa al Signore, qualcosa di concreto”. Ed io perché ero li? Avevo da poco iniziato il cammino con fra Massimo e dopo tanto ascoltare avevo bisogno di fare qualcosa di pratico. D’altra parte a me piace mettere km sotto le gambe, la marcia era perfetta. In fondo se non sei capace ad addolcire il tuo cuore, ci penserà la fatica, il caldo e i piedi doloranti a farlo per te … allora di fronte a quel tramonto chiesi al Signore di guarire la mia affettività. Camminavo per questo, per poter essere guarito dalle mie storie d’amore disastrose, i fallimenti affettivi e da tutte quelle relazioni mai chiuse del tutto (rimaniamo amici?) … ero li per questo, ora lo sapevo.
Ale — Arrivare alla marcia fu un’impresa. Io avevo 16 anni e, venendo da un paesello sperduto della basilicata dove le pecore e gli abitanti messi insieme non arrivano a ottomila, non ero assolutamente capace di prendere un treno da sola. Ci andai con la mia amica Giusy, più grande di me e soprattutto più esperta. Il problema era peró che Giusy due giorni prima non ne aveva più voglia, ma alla fine, per mia insistenza, ci avventurammo lo stesso. Il primo ricordo della marcia é la tappa iniziale: 40 km! a causa di un imprevisto abbiamo fatto due tappe in una. Un’impresa indicibile per le mie gambe ma soprattutto per il mio “sono forte io, non lo lascio lo zaino, io ce la faccio, io non sono come gli altri, io arrivo alla fine” … e fu così che lasciai prima lo zaino e poi salii umiliata dai km su quel camioncino raccatta moribondi.
Fra — La prima tappa fu devastante. Quasi quaranta km. Caldo, sudore, sete. Alla meta arrivammo a brandelli, a gruppetti di uno o due persone. All’arrivo ci aspettavamo delle belle bacinelle di acqua fresca per rigenerare i piedi distrutti. E ad ogni arrivo ci aspetta anche una sorpresa. È incredibile la condivisione che si crea tra persone che hanno patito la medesima “sofferenza”. Succede negli sport di fatica come il ciclismo e l’atletica — li c’era lo stesso sentimento: ce l’avevamo fatta, con le nostre gambe, col nostro sudore, nessuna scorciatoia, nessuna raccomandazione. Con le barriere difensive così abbassate, le maschere di tutti i giorni cadute per strada, parlare e conoscere le persone è così facile! Fra Max mi aveva “proibito” di entrare in una nuova storia d’amore finché non fossi guarito da quelle ferite (e non avessi chiuso una situazione in particolare che mi impegnava ancora la mente e il cuore). Di me stesso dicevo che ero in “bonifica”. Ma appunto per questo, non avendo alcuna aspettativa, mi veniva spontaneo di andare a conoscere tutte (tutte) le ragazze della marcia … alla sera del primo giorno, c’era appunto un gruppetto di ragazze sedute a terra a godersi il meritato riposo. Baldanzoso mi infilai e feci conoscenza:
- come ti chiami?
- Alessandra — (ok memorizzato)
- da dove vieni?
- dalla Basilicata — (uhmmmm)
- quanti anni hai?
- Sedici, ho appena finito la terza superiore — (pffrrr … cof cof)
Ok passiamo oltre, mi dissi.
Ale — Durante il cammino ogni tanto appare un ragazzo, simpatico tra l’altro. Un giorno mi disse: “Ciao Alessandra, ti cercavo, volevo camminare un po’ con te!” ed io che ero nella fase “Santa Maria Goretti” risposi: “Uhm, ah, beh….” e pensavo “Ma come cacchio si chiama questo? Lui mi chiama per nome, forse avremo parlato, ma io però non me lo ricordo, mo questo chi é?”. Ma più i giorni passavano, più Francesco continuava a spuntare all’improvviso. La cosa strana era che in generale non mi si filava nessuno al paese quindi io ero diventata davvero “la simpatica”, ma con lui non era così , non c’era stato il tempo né le energie per essere qualcuno, quindi ero io, me stessa fino in fondo. La cosa che mi aiutava ad essere tanto tranquilla era il fatto che era chiarissimo che eravamo troppo diversi: Francesco aveva otto anni più di me e a sedici anni fa la differenza; lui era laureato in fisica (!!!!) e faceva il dottorato (ignoravo il significato e l’esistenza di questa parola) a Zurigo e parlava normalmente in inglese con la gente; io, una cretina qualsiasi, facevo il terzo liceo, abitavo nel paese a fianco a quello in cui hanno confinato Carlo Levi, fra le capre e mi sentivo evoluta a parlare italiano anziché il dialetto. Ero molto stupita di come Francesco vedesse le cose. Quando parlavo con lui mi sembrava di prendere una boccata d’aria di libertà, libertà a pieni polmoni. Mi diceva: “Tu ti iscrivi ad una facoltà che pensi possa piacerti, dai gli esami, ti impegni al massimo e poi dopo un anno ti fermi e vedi se davvero é quello che vuoi fare, altrimenti cambi facoltà, che problema c’è?!”
Fra — I giorni passavano limpidi e sereni. Il silenzio del mattino, il rosario quotidiano e i piedi sempre pieni di polvere per il cammino percorso mi davano una grande pace. La meta si avvicinava. La Porziuncola e il Perdono del Padre. Non so se per caso o volontà passai tantissimo tempo con Alessandra. La sua semplicità, la sua purezza — “sono la figlia più bella del re” — mi piacevano, erano ossigeno per me. Mi purificavano dalla mia vita vanagloriosa, tutto tesa alla competizione sul lavoro, ad essere il più bravo, il più brillante in tutto. Con Ale invece bastava che io fossi me stesso. Bastava camminare, parlare. E così senza accorgersene arrivammo alla meta. Il frate disse:
“Ora potete baciare a terra”
ed entrammo in Porziuncola. Ho i brividi mentre rivivo questi momenti. Entrammo insieme, uno affianco all’altra. Eravamo davanti al Padre. A molti uscirono lacrime di commozione, calde lacrime di gioia. Ce l’avevamo fatta, avevamo compiuto la nostra corsa ed avevamo vinto, avevamo mantenuto la fede come dice S. Paolo. E li’ ci attendeva il Perdono del Padre che sempre vorrebbe darcelo ma noi così poco lo chiediamo. Entravamo nella storia, facendo anche noi un po’ parte di quelle vecchie pietre che avevano fatto compagnia a Santo Francesco e alla sua pazzia d’amore per Gesù.
Ale — Dopo la marcia avevo programmato di andare a trovare mia sorella a Roma per fare qualche giorno di vacanza, ma quando Francesco mi invitò ad andarci con lui, io dissi: “Ma, non lo so …”. L’imbarazzo era massimo, quindi chiamai da una cabina telefonica mia sorella per dirle che non sarei andata:
- Mary, guarda che non …
- Meno male che hai chiamato! Ho un problema a lavoro: é venuta meno una ragazza, devi assolutamente lavorare con me domani, meno male!
- No, veramente io ti sto chiamando perché …
- Mi hai salvato! Meno male, non so come fare
- Mary, guarda che …
finiscono i soldi, cade la linea e non riesco più a contattare mia sorella. Alla fine, sotto un’acquazzone estivo, io e Francesco raggiungemmo insieme la stazione di Assisi alla volta di Roma. Tre giorni indimenticabili. Al mattino lavoravo con mia sorella e dal pranzo in poi Francesco mi portava in giro per tutta Roma. Camminammo molto. Pregavamo il rosario in ogni chiesa che incontravamo sul Capitolino, o a S. Paolo. Un’amicizia davvero bella, profonda, pura.
Fra — Finita la marcia, era tempo di tornare all’ordinario. Ma come fare dopo aver vissuto un tale momento di Grazia! Non chiedetemi perché ma chiesi ad Ale di passare qualche giorno con me a Roma. Volevo mostrarle la mia città, non da turista ma da romano. E non c’era malizia, e non c’erano secondo fini (per me la differenza di eta’ ma soprattutto la differenza di situazione, lei al liceo, io in svizzera, erano insormontabili). Lei andò a sistemarsi dalla sorella ed io le feci girare tutta Roma con la moto per tre giorni (veramente scene da “vacanze romane”). Tre giorni meravigliosi.
Nei mesi successivi, Ale mi mando’ una foto di S. Pietro scattata dal Pincio proprio in quei giorni. Passai tanto tempo a guardare e riguardare quella foto. In fondo al mio cuore, forse … avevo già intuito di aver incontrato la donna della mia vita.
Il Signore mi aveva ascoltato. Non solo guarì le mie ferite, ma fece in modo che io ed Ale ci potessimo rivedere ancora molte volte ad Assisi in quell’anno, proprio attraverso una serie inspiegabile di Dio-incidenze che ci avrebbero portato un anno dopo a fidanzarci.
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