“Chi vincerà — disse il fanciullo al nonno — il lupo buono o quello cattivo? Vincerà quello che avrai nutrito! — rispose il nonno” (antico racconto Cherokee). Dall’essere single all’essere in coppia: la strana metamorfosi di una cara amica.
“E adesso vieni fuori! Scegli l’amore o l’eterna autocondanna! Applica quanto hai appreso, non lasciare che siano solo belle parole”.
Faccio anche io parte di quelle che hanno avuto una grande sosta nel colorato e multiforme mondo di singlelandia. Dopo una lunga e deludente storia d’amore, saggiamente, non so come, non mi sono ributtata in una nuova storia senza sapere cosa stessi facendo. Per fortuna o per saggezza ho deciso di sostare e di capire cosa c’era che non aveva funzionato … non volendo concludere come frettolosamente accade “c’era incompatibilità di carattere” (che sa di tutto ma in fondo di niente) mi ero messa a guardarmi dentro … e cosa ci ho trovato? Tanto di bello, che sarei voluta restarci e a dire il vero un po’ mi ci sono crogiolata. Ma intanto il tema degli strascichi amorosi su di me e sugli altri mi affascinava e mentre incontravo sempre più in profondità me stessa continuavo ad osservare tutti quei meravigliosi amici di cui ero, e da cui in larga parte sono ancora, circondata. E sapete cosa è accaduto? Che grazie a loro mi sono accorta che degli altri sapevo apprezzare l’amicizia ma guai a chi si avvicinava un po’ di più: uno sterminio, ne avevo per ognuno. Con grazia e discrezione lanciavo numerosi segnali “Non mi interessi” o più feroci “Ma dove vuoi andare!? Con me non ce la puoi fare” … vivevo appieno la mia onnipotenza relazionale! Nessuno poteva arrivare alla torre centrale, il castello era aperto ma la roccaforte del mio cuore era ben custodita!
Un giorno però tutto questo ha smesso di bastarmi. L’onnipotenza che tanto mi inorgogliva stranamente si stava trasformando, anche ai miei occhi, in una “onni-impotenza”! Sentivo tra i miei amici una staticità che mi faceva male. E allora mi sono accorta che non potevo cambiare loro, ma che potevo e dovevo cambiare io. Qualcuno (fra Mauro Angelini) mi aveva detto che esiste più di una via per l’autorealizzazione e così mi sono presentata ad un corso dicendo che ero li per capire quali erano i miei progetti di vita …
“Ahahahah!!!” sghignazzavano tutti attorno a me mentre il bonario frate dai capelli bianchi (Padre G. Marini) già mormorava con un mezzo sorrisino “Si, si, proprio i tuoi!”. Avrei capito solo qualche ora e giorno più tardi, ma intanto quel messaggio che potevo non essere io l’artefice della mia vita cominciava ad avanzare.
Tutto è cominciato da lì tra alterni momenti prima di arroccamento difensivo (chi si avvicinava era attaccato e sterminato), poi di scelta di solitudine (ero di gomma, chi si avvicinava era respinto senza che io neppure lo volessi), e infine di apertura all’altro. Sono trascorsi così alcuni anni. Avevo collezionato: cadaveri, una infinità di cari e veri amici (quasi fratelli) e mi stavo aprendo, davo una possibilità all’altro di farsi conoscere e conoscermi veramente, senza folgorarlo alla prima nota sbagliata. Ma sembrava che alla mia età il meglio fosse già stato preso … anzi, ad un certo punto cominciai a valutare anche se dovessi rinunciare a qualcuno dei principi in cui credo. Insomma la crisi, quella profonda che non lascia scampo e che noi, con i nostri si ed i nostri no, possiamo volgere in una o nell’altra direzione. Gli anni passati a guardarmi dentro erano serviti ad imparare a non scaricare sugli altri le mie frustrazioni, a lasciarmi aiutare piuttosto che essere sempre io a voler determinare tutto … e a cosa stava servendo? Ero ancora sola. Ci poteva essere davvero una possibilità per me? Una di quelle che avevo sempre sognato? O avrei dovuto accontentarmi?
Qualcuno (Chiara Lubich) mi aveva insegnato da subito che quando sei in crisi devi amare, spostare l’asse dal tuo ombelico e guardare agli altri. E così ho fatto, ho cominciato a mettere al servizio degli altri tutto quello che intanto avevo appreso per me. E ne ero felice. Ogni volta che sostenevo una persona verso la relazionalità, ogni volta che accompagnavo una coppia nel corso prematrimoniale o amichevolmente a recuperare la relazione o a entrarci più dentro, a sperimentare una vera e profonda intimità con l’altro ero felice. Ogni tanto mi fermavo a pensare “Ma come è che non provo invidia o gelosia? Loro hanno quello che io voglio, è naturale che io sia sinceramente felice per loro?” Non ho mai dato una vera risposta a questa domanda, so solo che quella cosa mi faceva stare bene, gioivo per loro e con loro.
Stavo amando ma ancora non bastava. Sempre il bonario frate dai capelli bianchi mi aveva dato una regola: mai rifiutare la provvidenza, “È peccato grave!” e soprattutto “Impara a farti bisognoso. Se l’altro ha piacere di farti del bene lo aiuti a conquistarsi il paradiso”. Provate a immaginare che risonanza potevano avere questi concetti per una donna forte, strutturata, abituata a controllare, a gestire e a fare … potevo mai riuscirci? Eppure in quella crisi “ama e lasciati anche aiutare dagli altri” sono stati i due pilastri che hanno stravolto ogni cosa.
Un giorno chiacchierando tra amiche M. mi aveva detto “Tu dovresti proprio conoscere un mio amico”. Neppure lei oggi sa perché lo disse, ma vide più lontano di tutti. Era una di quelle frasi buttate lì, che dopo un anno e mezzo si possono rispolverare senza sapere nemmeno perché, ma che ti fanno dire … “Ma va là! Il tempo scorre … e lui è in un’ altra nazione”. E invece è arrivato il giorno del matrimonio di M. ed io sapevo che lui c’era. Vari motivi mi impedivano di andare: il Friuli non era proprio dietro l’angolo. Per di più stavo male ed ero impegnata con il lavoro (che cosa strana!!!) … più segni di così, cosa volevo, lo sciopero dei treni? Ma ancora una volta la mia logica non era la Sua e io non stavo capendo. Mi servì l’insistenza della mia amica, tipica delle cananee e tre giorni prima della celebrazione, con nel cuore e nella mente i due pilastri “ama e lasciati aiutare degli altri”, ho faticosamente detto il mio “Ok, d’accordo vengo.”
Da lì è iniziata una favola che fuori dalla consapevolezza di tutti è stata documentata sin dal primo istante: quello in cui ancora nessuno dei due sapeva chi era l’altro eppure mi stava chiedendo di fargli una foto con gli sposi (e qualcun altro fotografava me nel mentre), quello in cui dopo esserci faticosamente riconosciuti ad un tavolo (la sposa era in giro ed ha lasciato fare al buon Caso) abbiamo ballato per tutta la serata (e qualcuno ci stava riprendendo) … per poi trovarmi ad attendere nei giorni a seguire un sms che sembrava non arrivare mai … erano passati solo sei giorni ma sembrava un’eternità. Dove si era nascosto fino ad allora? E mentre qualche mese dopo mi raccontava di sé solo queste erano le parole che avevo nel cuore e per me sono la testimonianza che due anime che si incontrano sanno riconoscersi. Le sovrastrutture umane derivate dai modi di essere che assumiamo in base alla nostra esperienza possono troppo spesso ostacolare questo riconoscimento. Saper essere se stessi non deve esser confuso con gli spontaneismi. Se io “fossi stata me stessa” perché mai avrei dovuto accettare l’aiuto di una amica insistente? Se “fossi stata me stessa” perché mai avrei dovuto attaccare discorso con un tipo che neanche conoscevo e che si era già seduto accanto ad un’altra amica romana della sposa confondendomi così facilmente (ebbene sì, anche lui mi cercava) e che non mostrava alcuna insofferenza per questo? Se io “fossi stata semplicemente me stessa” chissà quante volte l’avrei ucciso con lo sguardo duro e gli apostrofi secchi? Se io “fossi stata semplicemente me stessa” perché mai dovevo dare una chance ad uno che abita a 1100 km e per raggiungerlo occorre attraversare due stati?
Insomma: l’amore vince davvero ogni barriera? O è solo poesia?
Sì! L’amore vince tutto, ma noi glielo dobbiamo permettere.
Quando dopo due mesi da quell’incontro venne a Roma eravamo entrambi pieni di paure. Io che fosse stato solo un sogno e che dal vivo sarebbe stato tutta un’altra persona (smontò invece ogni mia credenza umana e psicosociale ed io glielo lasciai fare, volevo proprio vedere dove sarebbe arrivato!!!). Lui temeva che io potessi non avergli detto tutto e che al suo arrivo mi avrebbe trovata accanto ad un altro … Arrivare a raccontarci anche questi retroscena fu la parte più bella del percorso che durò diverse settimane, fu l’inizio di una intimità e profondità da costruire, che non arriva da se e che necessita di tempi e modi sempre pericolosamente soggettivi (ma anche essenziali)!
Una cosa servì più di tutte al momento del primo incontro a due, il terzo pilastro: “Dio ti dà quel che credi, non ciò che chiedi!”. Lo sapevo ma ugualmente mi serviva che qualcuno me lo ricordasse al momento opportuno e così la sera prima del suo arrivo il mitico fra Graziano me la rispolverò. Anni prima questa frase mi aveva distrutta, buttata a terra pensando al mio passato. Ora invece su questa frase è potuta fiorire la più bella storia d’amore possibile!
Con l’augurio che tutto questo possa continuare ad essere di utilità per molti altri.
Antonella
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