La vocazione all'amore

by Guest,
La vocazione all'amore

Penso spesso che quello che sento sia senso del dovere, o senso di colpa per voler scappare via. Rabbia. Contro John e contro Dio. Ma … poi lo guardo e mi costringo a vedere l’uomo che ho sposato, e lui diventa quell’uomo, si trasforma nella persona che amo. E io mi trasformo nella persona che lo ama. Non capita sempre, ma è abbastanza. (dal film A Beautiful Mind)

Ci sono momenti dove tutto sembra dire “non esiste”, delusioni impossibili da evitare, specialmente nella coppia dove scopri il meglio ma anche il peggio di chi hai accanto. “Pensavo che tu fossi diverso” è la classica frase che chiude la porta alla storia di molte coppie. Ma è proprio lì, all’uscio di quella porta, che si vede la misura di un amore. Credere oltre la realtà, vedere ciò che apparentemente non c’è. Nel film questa donna è sempre davanti una scelta, LA scelta: non credere che il marito sia un semplice pazzo su cui non investire nulla e allo stesso tempo credere che l’amore che nutre per lui è possibile, nonostante tutto. Lei aspetta, lei custodisce il loro amore anche se in quella fase tutto sembrava crollare e lasciare posto al… niente.

“Io ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia possibile”, dice in una battuta la moglie di Nash. Serve questa forza, questa speranza, questo amore che va oltre l’evidenza e non cadere all’inganno del “se non vedo non credo”. Nel mio matrimonio non pochi sono stati i momenti dove a grandi sforzi non corrispondevano neanche minimi cambiamenti; tutto sembrava dire “non ne vale la pena”, era evidente. Ma l’evidenza non è tutto. Serve vedere ciò che non c’è, ma non come un sognatore né come uno schizofrenico. Gli occhi della fede ti fanno sperare, ti fanno vedere che con l’aiuto di un uomo come te (Gesù) si può cambiare. Certo è dura quando ci si impegna ma nulla evolve, almeno in apparenza. Ecco che io e mia moglie stiamo crescendo proprio grazie a questi ostacoli: se da un lato stiamo smontando gli alti ideali di una coppia super che può raggiungere la sintonia perfetta (mission impossible!), dall’altro stiamo imparando quanto è difficile ma bello passare dalla pretesa all’attesa. Umilmente aspettare l’altro, facendo ognuno la sua parte. Sperare in un cambiamento ma non investirci tutto: la prima persona da cambiare sono io, non mia moglie. E sempre con i tempi di Dio. Il comandamento è “ama il prossimo tuo” e non “cambia il prossimo tuo”! E nessuno è più prossimo, più vicino, di colui o colei che ti dorme affianco. In certe fasi non c’è sfida più grande, sopratutto quando arrivano i bambini e la stanchezza fa abbassare i livelli di autocontrollo!

Chi è per me mia moglie? Chi è davvero la persona amata? Senza false utopie, credo che sia colui o colei di cui ci siamo innamorati. Nei momenti peggiori è stata questa la mia convinzione che ha superato ogni evidenza. Forse non è vero che nell’innamoramento vediamo l’amato in modo distorto, amplificando la sua bellezza e le sue qualità. Forse vediamo la persona per come Dio l’ha pensata, come trasfigurata. Sono attimi, ma in quegli attimi vedi l’amato o l’amata per come davvero è. E serve ricordarlo tutta la vita. Come quando in tuo figlio vedi ciò che invece in un adulto rimane nascosto, coperto da strati di dolore, paura e delusione. Ma ancora prima dell’essere bambino, ancora prima di come siamo nell’utero materno, potremmo riconoscere noi per come siamo pensati da Dio.

Posso scoprire me stesso … guardandomi con gli occhi di mia moglie. Allo stesso tempo solo grazie a me lei può diventare davvero se stessa, secondo il progetto di chi l’ha pensata, amata, condotta.

La vera porta che conduce alla propria identità più profonda è l’altro.

Alessandro


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