Da più di 3 anni mi trascinavo in una relazione con P., un uomo sposato, di oltre 40 anni. E questa era divenuta la mia “dolce gabbia”: quest’uomo esercitava un morboso controllo su di me ed io ero divenuta la sua “piccola”, la “ragazzina” che doveva ogni ora (e non scherzo, ogni ora) comunicargli telefonicamente dove si trovava e con chi, a cui era vietato parlare con qualsiasi tipo di essere maschile. P. trovava spesso una scusa per controllare il mio cellulare, il mio account facebook e la mia mail e diventava letteralmente isterico quando vedeva email o commenti, seppur inattaccabili, di amici di vecchia data.
Ma io, nonostante la pazzia, mi sentivo protetta; mi sentivo al riparo, in un luogo soffice, dove nessuno mi poteva fare del male, perché lui, il mio “angelo” (così si faceva chiamare) mi proteggeva e badava a me, come un piccolo essere indifeso. Poi scoprii che solo Gesù può dare Quella Protezione, la protezione di un Padre che dà la vita per il Figlio… Giorno dopo giorno si impossessava della mia mente, influenzava le mie idee, mi teneva imbrigliata in una ragnatela di ricatti psicologi notevoli: ci sentivamo dalle 15 alle 20 volte al giorno. Dopo un anno di “prigione”, iniziai a capire che c’era qualcosa di profondamente malsano nella nostra relazione: ma la mia mente e il mio cuore erano imbrigliati a lui, mio persecutore. Cominciai a uscire con altri ragazzi, nella speranza che qualcuno potesse aprirmi nuove vie.. Cominciai a mentire a P. in modo spudorato, con una certa dose di astuzia, visto che circa ogni 30 minuti arrivava una sua telefonata… e se non rispondevo erano urla. Ma nessun ragazzo mi dava conforto… nessuno era in grado di “sostituirlo”.
Iniziai a cogliere tutte le occasioni di studio e stage all’estero per fuggire (anche se inconsciamente), ma P. mi veniva quasi sempre a trovare, mostrando il suo lato più dolce e paterno che mi riavvicinavano a lui. Fuggì anche in centro America dove mi feci molto male con una tripla relazione concomitante: lui a casa e altri due ragazzi di cui mi prendevo gioco… da vittima, iniziavo anch’io a diventare simile al mio carnefice. La mia vita era una continua menzogna; menzogna verso me stessa, verso di lui, verso la mia famiglia, verso i miei amici. Dio era molto lontano (o meglio… molto vicino ma non lasciavo che asciugasse le mie lacrime). Tornata dal centro America, mi proposi di lasciarlo. Ma non ci riuscii: era troppo bravo a farsi sentire insostituibile, fino a che, un giorno, mi ritrovai a essere coperta di insulti da parte sua: dovevo uscire da quell’incubo.
Colsi al balzo la proposta di un amico di andare ad Assisi per un corso: “ma sì, vieni anche tu, che ti piaccono un po’ quelle cose freak, che c’entrano con la povertà… etc etc”. Andai. E Gesù mi caricò sulle sue spalle. Lo lasciai entrare e decisi che, insieme a Lui, la mia vita poteva e doveva cambiare. Furono giorni duri, non potevo smettere di piangere. Ma la speranza della Resurrezione mi accompagnava… non ero più sola… ero con un Padre misericordioso che mi amava e perdonava nonostante tutto… nonostante la mia infedeltà, la mia menzogna, il mio letame. Mi sentii per la prima volta amata incondizionatamente, di un amore grande e infinito, che tutto può e tutto accoglie.
Mi misi in cammino.
Fu (ed è tuttora) un cammino lungo e in salita, accompagnato dalla benedizione di un Padre come P. Gianluca e sostenuto da un percorso psicologico e dall’appiglio di una Madre, come Suor Stefi. Volevo usare tutti gli strumenti che Gesù metteva sul mio cammino per liberarmi dall’io vecchio e lasciar compiere in me la vera Resurrezione. Avevo gli stessi sintomi e reazioni di una tossicodipendente in crisi di astinenza: spesso il mio corpo ricercava un contatto con P., in qualsiasi forma, ma la mia mente e lo Spirito Santo (con il supporto di amici benedetti) riuscivano a governarmi. “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”: era la mia giaculatoria, la preghiera che mi accompagnava e che ripetevo senza interruzione nei momenti più bui. Più mi affidavo a questo nuovo progetto di vita, più mi sentivo sorretta e presa per mano da Cristo.
Fu da quella ferita che iniziò a germogliare in me il seme della nostra cooperativa… sentivo che la mia umanità ferita e risorta poteva divenire pane spezzato per altre donne che vivevano situazioni di violenza o sofferenza che io avevo avuto la -minima- possibilità di percepire. Potevo divenire uno strumento di Dio nel realizzare un progetto di riscatto per donne che, come me in minima parte, avevano subito violenza fisica e psicologica. Il Signore, giorno dopo giorno, ci apriva qualche porta, facendosi vivo nei nostri incontri e facendoci incontrare persone speciali, desiderose di darci una mano nel nostro, o meglio Suo progetto.
Iniziavo pian piano a percepire questo come missione, come la MIA missione per portare il regno di Dio su questa terra… per trasformare la mia ferita in un profumato (?!) girasole: se l’intuizione veniva da Dio la dovevo seguire… dovevo mettermi in cammino. E così fu: rincontrai un amico e iniziammo quest’avventura. Dio ci aprì tutte le strade e le autostrade possibili; con fatica sì, ma con tanto affidamento da parte nostra.
Oggi il nostro progetto, dopo solo 2 anni, offre lavoro a circa 20 donne, molte delle quali svantaggiate. Siamo anche nel carcere della nostra città, per offrire una speranza alle detenute. La nostra missione è il motivo benedetto per cui mi alzo la mattina, per cui lotto, per cui cado e mi rialzo. E’ anche fatica, fatica ad affrontare il mercato, fatica nel conciliare relazioni lavorative e non, fatica nello “stare” e non scappare dalle situazioni, fatica nel diventare spesso io stessa (strumento di) Quel Padre che consola e che mi ha salvato… ma è soprattutto motivo di speranza per tutti noi e segno evidente della fedeltà di Dio. Spesso mi capita di asciugare lacrime e di stringere in teneri abbracci donne che, come età anagrafica, potrebbero essere mie madri: questo mi permette di incontrare un’altra umanità ferita e di divenire seme di speranza, di quella speranza che viene da Dio. E’ lì che ritrovo la mia vocazione.
Le “mie” donne sono l’occasione per me per ricordarmi “da dove vengo” e “dove vado”, per allontanarmi dai giudizi facili, per tenermi con i piedi per terra e per tenere salda la mia motivazione. Una delle difficoltà più grandi è tenere lo sguardo verso obiettivi “celesti” ricordandoci che siamo strumento per realizzare il regno di Dio su questa terra, tramite i nostri talenti da far fruttare ogni giorno.
Oggi mi posso dire felice, con un Padre in cielo che mi prende per mano, un Padre e una Madre in terra che mi accompagnano passo dopo passo, D., un ragazzo splendido al mio fianco con cui camminare e pregare insieme, degli amici speciali e una famiglia che mi ama. D. è uno e forse il più importante dei tanti frutti che Gesù ha messo sulla mia strada; Dani oggi ha il coraggio di “benedire la mia storia, se mi rende così bella”. SE QUESTA NON E’ LA FEDELTA’ DI DIO?!
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